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La tigna è una dermatite causata da un particolare tipo di fungo (o micete) che si attecchisce sul gatto attraverso il contatto diretto con ratti e topi portatori del parassita. I primi sintomi fisici che la rendono manifesta sono arrossamenti e croste con infossamenti centrali, la cui forma ricorda alla lontana i favi degli alveari, o di minuscole scodelle. Esiste anche uno specifico tipo di tigna chiamata anche “favosa”. Il fungo scatenante è conosciuto con il nome di Achorion schoenleini. Intorno alle fossette create dalle crosticine, il cui colore è solitamente giallognolo, ed il cui diametro varia da uno fino a dieci millimetri, si possono vedere anche lembi di pelle infiammata. A volte al centro degli “scutuli” (si chiamano così questi piccoli affossamenti) pèossono rinascere i peli, ma sottilissimi, deboli e suscettibili di urti. Queste crosticine emanano cattivo odore, che ricorda quello dell’urina di topo. Una volta in atto la tigna, i bulbi peliferi attaccati si atrofizzano e cicatrizzano provocando alopecia. Dove gli scutuli si formano sulla cute ove non ci sono peli, danno origine semplicemente a chiazze arrossate. Il fungo della tigna passa facilmente dal gatto infetto al terreno e le sue spore si attaccano per molto tempo anche su mobili e tappezzeria di casa, se a contatto con gatti malati. La proliferazione è accentuata in ambienti molto umidi e caldi. Nonostante questo, e nonostante la diffusione di questa patologia, un buon 20% dei gatti malati non presenta alcun sintomo manifesto, dunque, come si dice, la malattia risulta asintomatica e può completare il suo corso senza creare alcun danno, o disturbi di pochissimo conto, sui felini. Fatto resta che i gatti più giovani, che non hanno ancora una buona immunità, tendono ad essere soggetti più di altri alla tigna, per cui una corretta igiene e un occhio attento e vigile sul proprio amico fino a che da adulto non irrobustisce il suo sistema immunitario è l’unica prevenzione possibile.
Quando però la patologia è palesemente manifesta, con uno o più sintomi tra quelli sopra elencati, ottenere una pronta guarigione è molto difficile. I tempi sono lunghi e la pazienza del padrone, e del gatto, non sembrano mai abbastanza. Tuttavia il veterinario impiegherà tutti i metodi a sua disposizione per una diagnosi veloce e precisa, tenendo in considerazione un buon numero di elementi assieme: possibili veicoli di contagio tra animali della stessa specie o di altra specie; eventuali tracce di infezione da parte dei proprietari, che a volte sono costretti a condividere i disturbi della tigna con il proprio gatto; la predisposizione delle razze feline a pelo lungo; la presenza di alopecia localizzata o diffusa, di crosticine sull’epidermide, prurito alla cute, ed eventuali infiammazioni visibili ad occhio nudo. Il veterinario inoltre farà un esame del pelo utilizzando la lampada di Wood, eseguirà test colturali del micete, anche mediante l'uso di terreni colturali di pronto impiego presenti in laboratorio. Se riterrà opportuno, eseguirà anche una biopsia di un’area che per lui è sospetta.
Come anticipato, anche a terapia individuata e corretta la guarigione può impiegare molto tempo per essere completa. Primo perché spesso la malattia progredisce senza segni evidenti, o almeno all’inizio. Il patogeno si nutre di cheratina, che è la componente principale di peli, unghie e strato corneo, e anche se può non provocare malanni al gatto, è molto resistente in ambienti esterni per cui potrebbe ri-attecchire ripetutamente sullo stesso soggetto. In generale le micosi (la tigna è una micosi), vengono trattare con antiparassitari, e antinfiammatori, e c’è bisogno di altre terapie invasive. Quando vi sono delle recidive si può sospettare che il micio sia debilitato da altre forme patologiche all’origine, come patologie immunodepressive (FIV), oppure stressato da terapie prolungate con corticosteroidi. In questo caso è possibile che la terapia prolungata possa dare atto a forme dermatofiti che vicine alla tigna, distinte però da prognosi non favorevole.I dermatofiti, la famiglia della quale il patogeno della tigna fa parte, possono essere divisi in tre gruppi, a seconda dell’habitat in cui prolificano meglio: “geofili”, come i saprofiti (si nutrono di materia organica morta o in decomposizione), vivono in terreni ricchi di materiale cheratinico fornito da peli e squame cutanee provenienti da animali o da umani. Tra questi, il solo che ha un reale potere patogeno è Microsporum gypseum, che può infestare sia l’uomo che gli animali; ”antropofili”, ovvero legati all’uomo, il cui contagio dipende da contatto diretto, con la frequentazione, per esempio, di luoghi pubblici; “zoofili”: legati al mondo animale, in cui ciascuna specie è particolarmente legata ad una specie prediletta, nel gatto il Microsporum canis è l’agente scatenante di una gran parte di dermatofitosi (o in generale di problemi alla cute). I dermatofiti presentano un’ampia variabilità di strutture e caratteri esteriori, non sono classificabili alla strenua di funghi. Questo tipo di fungo una volta arrivato sull’ospite tramite il contatto con soggetti infetti o l’ambiente contaminato, genera un filamento germinativo che aggredisce il pelo nel punto della sua insorgenza dal bulbo pilifero e a sua volta può dare vita a nuovi filamenti che continuano l’infestazione riproducendosi sia verso il bulbo che verso la sommità del pelo.
Il periodo di tempo che serve perché, dopo l’incubazione, si presentino le prime lesioni visibili sulla pelle del gatto infetto varia dagli otto ai quindici giorni. (Per il cane serve qualche giorno di meno). Siccome la riproduzione cellulare del fungo si arresta dove non trova più cheratina disponibile al suo nutrimento, spesso è evidente una vera e propria linea di demarcazione, sul colletto del bulbo pilifero, tra la zona infetta del pelo e quella sana. Questa area si chiama “frangia di Adamson”. Da questo momento la produzione naturale di cheratina servirà per alimentare il fungo e, di conseguenza il pelo, non ricevendone periodicamente la giusta quantità, si indebolisce e muore. Nei casi di guarigione spontanea, che è probabile in gatti adulti che abbiano un sistema immunitario perfetto, si instaura una reazione infiammatoria, per cui la produzione di cheratina di rallenta, oppure il pelo entra in fase telogen (così si chiama la fase di riposo del ciclo del pelo). In fase telone il pelo non cresce né regredisce, ma si prepara alla caduta, non stimolando più la produzione della cheratina, per cui il fungo, trovandosi senza nutrimento, muore con esso.Non è mai corretto definire il gatto come un vero e proprio ricettacolo dell’infezione di tigna, perché come per molti altri parassiti, “stato colturale” del mantello del gatto si limita a subire l’influsso dell’ambiente in cui vive. Quando sotto gli esami si evidenzia la sua “positività colturale” per il Microsporum canis, il che avviene soprattutto quando vive in comunità con molti esemplari, come per esempio nei gattili o nelle colonie feline, non è detto che sia manifestamente malato. Questo perché il patogeno può aver attaccato il pelo innescando una infezione attiva, oppure può essere che il gatto sia solo un veicolatore, dove per veicolazione meccanica si intende che in pratica le spore aderiscono al mantello, restando innocue, e senza invadere il pelo. Il gatto veicolatore meccanico può sviluppare successivamente un’infezione, oppure, specialmente se viene allontanato dalla fonte ambientale contaminata, subito diventare negativo.Come abbiamo già accennato la tigna del gatto è altamente contagiosa e si può trasmettere ad altri animali ma anche all'uomo. Per questo motivo, se si sospetta l'insorgere della malattia, è necessario porre il gatto in quarantena. Se il contagio avviene comunque, la tigna si presenta, nell'uomo, con lesioni dal caratteristico aspetto ad anello. Queste lesioni nascono da macchie simili a brufoli che, piano piano, si allargano in modo centrifugo. Le zone di solito maggiormente colpite sono la testa e il cuoio capelluto, il viso, il busto, le mani e i piedi. Il sintomo più caratteristico è il prurito e l'arrossamento della zona interessata. Alla comparsa di questi sintomi è necessario recarsi dal proprio medico che prescriverà una terapia (studiata anche in base alla situazione del soggetto) basata su antimicotici sotto forma di creme o lozioni. La durata della cura è almeno di due settimane, ma può variare a seconda della gravità e dell'estensione dell'infezione.
I trattamenti terapeutici servono in primis ad arrestare l'estensione del processo infiammatorio, e poi ad evitare la propagazione verso altri animali e/o verso il proprietario del gatto, infine ad impedire la sopravvivenza delle spore del fungo nell'ambiente. Esistono per questo sul mercato, diversi farmaci antimicotici ad azione fungicida, fungicida e/o fungistatica a seconda del dosaggio prescritto, che sarà di competenza esclusiva del veterinario. Tra essi vanno ricordati prodotti quali l'econazolo, il ketoconazolo, la griseofulvina, etc. Il veterinario starà attento a prescrivere medicinale e dosaggio anche in base alla forma della patologia: localizzata, diffusa o recidivante. Quando la tigna è localizzata basta solitamente trattare la parte lesa con un fungicida locale dopo aver rasato i suoi confini. Quando invece il veterinario si trova di fronte a un caso di tigna diffusa, solitamente propende per una tosatura completa, in modo che il fungicida possa agire senza ostacoli, favorendo la sua penetrazione completa. E’ possibile abbinare alla terapia sulla cute anche la somministrazione di un farmaco che combatta ed indebolisca il fungo dall’interno in modo da eliminare piano piano il micete man mano che sia ha la ricrescita del pelo. La Griseofulvina in particolare si utilizza con successo nei gatti perché aiuta il sistema immunitario del gatto a debellare l’infezione. L’unico effetto collaterale della griseofulvina è che in soggetti delicati, come quelli affetti da gastroenterite o immunodeficienza felina, perchè può causare vomito, per cui viene somministrata solitamente durante i pasti, in modo da confondersi nello stomaco con il cibo. Occorre anche stare attenti alla sua somministrazione alle gatte in gravidanza. Se ne sconsiglia infatti l’utilizzo in questo caso, perché potrebbe causare malformazioni nel feto. Anche il ketoconazolo e molto usato, anche se non può essere impiegato in gravidanza e nel gatto può ingenerare effetti indesiderati quali rifiuto del cibo per inappetenza, vomito, sintomi che scompaiono con la fine della terapia. Nonostante le cure la prevenzione resta una arma vincente. La pulizia approfondita e continua degli ambienti in cui soggiornano i gatti infetti è fondamentale, lavare per esempio con acqua calda e disinfettanti fungicida coperte e cuscini è una pratica da non sottovalutare, esistono sul mercato prodotti specifici molto efficaci, tra uno ottimo si chiama Virkon. Se, nonostante le cure somministrate il gatto non dà segni di miglioramento, che ci si trovi di fronte ad un gatto immunodepresso; che il farmaco usato non è stato proporzionato al bisogno o che, ad esempio, sia da cambiare il dosaggio. Oppure può essere perché è stato interrotto troppo presto il trattamento rispetto a quanto necessitasse, magari appena le lesioni sono andate via, oppure semplicemente che non si sia effettuata una pulizia ambientale adeguata.
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